sabato 24 dicembre 2011

martedì 20 dicembre 2011

La paura del buio.

Dicono che l'istante prima di morire, ciascuno di noi riveda la propria vita scorrere come in un film. La stessa cosa sta accadendo a me, da un mese a questa parte... certo, togliendo il fatto di morire, magari. Certe volte il passato ti piomba addosso con una violenza inaudita, ti travolge e ti sommerge come una burrasca in mare aperto. Ma non è questo il caso. Stavolta il mio passato ha giocato d'astuzia, si è insinuato lentamente nei miei pensieri, nel mio quotidiano, nel mio modo di essere e di pensare e di comportarmi.

Un sogno ricorrente è quello del buio. Io non ho paura del buio, non l'ho mai avuta nemmeno da bambino. Eppure, in questo sogno io ho paura del buio. No, non è del tutto esatto. La mia paura è quella del buio improvviso, inatteso. Nel mio sogno avrò cinque, sei anni. Sono a casa, in corridoio. Sento dei rumori strani, che provengono dalla mia cameretta. Mi avvicino alla porta, la apro... la stanza è buia. Premo l'interruttore, la luce si accende. Ma dura solo un istante, la lampadina manda una luce sempre più fioca, sempre più tremula... e poi è di nuovo il buio. Vengo colto da un terrore improvviso, paralizzante. In questo fottuto sogno sono in balìa di me stesso, che non riesce, non vuole, non osa decidersi: entrare? tornare in corridoio? No, il bambino che sono nel mio sogno non riesce a muoversi, a pensare, a gridare... sa solo restare lì in piedi, quasi come se fosse compiaciuto del suo terrore, come se volesse essere spaventato a tutti i costi. E ogni volta il sogno finisce allo stesso modo, con me stesso bambino sulla soglia, impietrito.

Era da molto che non sognavo tutto questo, ma in questi giorni lo sto facendo in continuazione. E' il passato, il mio passato che continua a riaffacciarsi con prepotenza nel mio presente. Lo vedo sulle mie braccia, quei segni che non se ne andranno mai del tutto, e che ora tornano a rimarcare vecchi pensieri quasi dimenticati (e solo io so la fatica che ho fatto per dimenticare); lo sento nei miei pensieri, nella mia rinnovata difficoltà a relazionarmi con gli altri (e solo io so il dolore che comporta tornare ad indossare le mie vecchie maschere per nascondermi al mondo); lo vedo nelle persone intorno a me, che ultimamente sembrano recitare un film già visto (cambiano gli attori, ma la storia è quella di sempre, un vecchio classico, e come si può rovinare un classico?); lo percepisco in me, e questo mi spaventa più di tutto: mi guardo allo specchio, e vedo quel bambino introverso e silenzioso e pauroso che sono stato. La cosa che mi terrorizza, è che sto perdendo di vista quell'uomo che avevo incominciato ad intravvedere, e che mi dava la forza di guardare avanti con fiducia. 

E' solo un brutto momento, lo so. Passerà, come passa tutto. Tornerà il sorriso, torneranno le mie certezze, tornerà la voglia di mettermi in gioco nel mondo. E non ho dubbi sul fatto che tornerà presto, ormai sono in vetta e da qui è tutta discesa. Ma capisco anche che il passato non si cancella mai. E non si cancelleranno questi momenti, e per quanto mi sforzerò di relegarli in un angolo buio della mente... beh, loro torneranno. Torneranno sempre per me. Per ricordarmi chi sono, da dove vengo. Per ricordarmi che quel bambino non avrà mai un'infanzia normale, ma sarà sempre costretto a guardare quella stanza buia, senza possibilità di entrare o di andarsene. Devo solo accettarlo. Scendere a patti. Un compromesso col mio passato. Con tutti i miei passati. E' l'unico modo che ho per ritrovare quell'uomo nello specchio. E devo ritrovarlo al più presto: solo lui può abbracciare quel bimbo, dirgli di non temere, perché tutto andrà bene. E allora potrò davvero accompagnare entrambi in quella stanza, perché in fondo... io non ho paura del buio.


giovedì 1 dicembre 2011

L'insostenibile leggerezza dei libri di Milan Kundera...


"In altre parole: qual è il modo non psicologico di cogliere l’io? Cogliere un io vuol dire, nei miei romanzi, cogliere l’essenza della sua problematica esistenziale. Cogliere il suo codice esistenziale. Scrivendo L’insostenibile leggerezza dell’essere, mi sono reso conto che il codice di questo o di quel personaggio è composto di un certo numero di parole-chiave. Per Tereza: il corpo, l’anima, la vertigine, la debolezza, l’idillio, il Paradiso. Per Tomáš: la leggerezza, la pesantezza. Nella parte intitolata “Le parole fraintese” esamino il codice esistenziale di Franz e quello di Sabina, analizzando diverse parole: la donna, la fedeltà, il tradimento, la musica, il buio, la luce, i cortei, la bellezza, la patria, il cimitero, la forza. Ognuna di queste parole ha un significato diverso nel codice esistenziale dell’altro. Certo, questo codice non è analizzabile in abstracto, si rivela progressivamente nell’azione, nelle situazioni. Prendiamo La vita è altrove, la terza parte: l’eroe, il timido Jaromil, è ancora vergine. Un giorno, mentre passeggia con la sua amica, lei ad un tratto gli posa la testa sulla spalla. Jaromil è al colmo della felicità ed è anche fisicamente eccitato. Io rifletto su questo miniavviamento e constato: “la più grande felicità conosciuta da Jaromil fino a quel momento era stata sentire la testa di una ragazza posata sulla propria spalla”. Prendendo le mosse da questa constatazione, cerco di cogliere l’erotismo di Jaromil: “La testa di una ragazza per lui significava più del corpo di una ragazza”. Il che non significa, come preciso, che il corpo gli fosse indifferente, ma che “non desiderava la nudità di un corpo di ragazza; desiderava un viso di ragazza illuminato dalla nudità del corpo. Non desiderava possedere un corpo di ragazza; desiderava un viso di ragazza il quale come prova d’amore gli facesse dono del corpo”. Cerco allora di dare un nome a questo atteggiamento. Scelgo la parola tenerezza. Ed esamino questa parola: che cos’è in realtà la tenerezza? Arrivo a una serie di risposte: “La tenerezza nasce nel momento in cui, rigettati sulla soglia dell’età adulta, ci si rende conto con angoscia dei vantaggi dell’infanzia, i vantaggi che da bambini non si potevano capire”. E poi: “La tenerezza è il terrore di fronte all’età adulta”. E ancora un’altra definizione: “La tenerezza è il tentativo di creare uno spazio artificiale in cui valga il patto di trattarsi l’un l’altro come bambini”. Come vede, io non mostro quello che accade nella testa di Jaromil, ma piuttosto quello che accade nella mia testa: osservo a lungo il mio Jaromil, e cerco di avvicinarmi, un passo dopo l’altro, al cuore del suo atteggiamento, per capirlo, per dargli un nome, per coglierlo.
Nell’Insostenibile leggerezza dell’essere, Tereza vive con Tomáš, ma il suo amore esige da lei una mobilitazione di tutte le sue forze e un giorno, improvvisamente, essa non ce la fa più, vuole tornare indietro, “in basso”, da dove era venuta. Io allora mi domando: che cosa succede? E trovo la risposta: è stata presa da una vertigine. Ma che cos’è la vertigine? Cerco la definizione e dico: “l’ottenebrante, irresistibile desiderio di cadere”. Ma subito mi correggo, e preciso la definizione: “la vertigine potremmo anche chiamarla ebbrezza della debolezza. Ci si rende conto della propria debolezza e invece di resisterle, ci si vuole abbandonare a essa. Ci si ubriaca della propria debolezza, si vuole essere ancora più deboli, si vuole cadere in mezzo alla strada, davanti a tutti, si vuole stare in basso, ancora più in basso”. La vertigine è una delle chiavi per capire Tereza. Non è la chiave per capire me o per capire lei, Salmon. Eppure, sia lei che io conosciamo questo tipo di vertigine almeno come una nostra possibilità, come una delle possibilità dell’esistenza. Ho dovuto inventare Tereza, un “io sperimentale”, per capire questa possibilità, per capire la vertigine."

Da "L'arte del romanzo".

mercoledì 23 novembre 2011

Nevrosi tardo-pomeridiana...

E poi ti ritorna la voglia di scrivere, all'improvviso... buttare giù un paio di idee sconnesse tanto per darti dei consigli da solo, e riderci sopra fra qualche anno...

1) Quando riprendi a guidare dopo secoli, ricordati come cazzo funziona quella maledetta aria condizionata!

2) Suonare per diletto, e suonare per lavoro NON sono la stessa cosa: il primo ti gratifica, il secondo ti fa solo venire del gran mal di testa -.-

3) Quando entri in una libreria, e cerchi un volume che non sia un bestseller appena uscito, la maggior parte delle volte hanno venduto l'ultima copia il giorno prima, quindi non te la prendere più di tanto: io ti ho avvisato!

4) Quando credi che non ci sia NULLA che può farti saltare una sessione di D&D, il nulla prende la forma dell'ennesimo sclero del tuo migliore amico, che ti costringe a paccare tuo malgrado.

5) Quando... quando... tu dimmi quando quandooooooooo

6) Quando hai sete di vita tuuuuuuuuuuu

7) Quando cominci a scrivere un post, abbi almeno la decenza di sapere dove vai a parare...

8) Dovresti proprio crescere.

9) Lo so, è difficile, Khal. Ma tu provaci. Fallo per me.

martedì 22 novembre 2011

Quaderni, Estratto II


Va bene.
sono consapevole che scrivere ora sia un errore è che forse dovrei essere a dormire.
ho le dite intorpidite.
la bocca secca.
la testa pulsa.
eppure, ho il coraggio di non aver sonno.
ora riesco a dire quello che penso, senza la vergogna di manifestarmi domani. ho una maschera, sono solo Niwhen. quanti di voi conoscono i panni di chi indosserò domani mattina? pochi. forse, sono Khal.
per questo, scrivo.
scrivo cosa?
pensieri, sconnessi, frasi che vengono buttate lì, a casaccio. forse domani avranno un ordine. forse no. ma diamine, a chi può interessare?

a me non di certo.
scrivo che forse, mentre inalo boccate d’aria, spero solo di respirare  qualcosa di nuovo, qualcosa di fresco. e inspiro forte, egoisticamente, sperando di intrappolare il più possibile. sperando di imparare qualcosa. profondamente stupida, lo sono.
“dai che fai lì da sola?vieni!
è così che funziona, per noi, o per lo meno per me. speri di passare una bella serata, sperando solo di uscire da stessa. come se uscendo smettessi di essere quello che fai tutti i giorni. 
come se i tacchi ti dessero quel dannato qualcosa in più, che disperatamente cerchi durante il giorno. 
ma mi chiedo perchè cercarlo solo la sera? perchè sperare che uscendo si inciampi in quel risvolto positivo che si aspetta prenda la tua vita improvvisamente? 

perchè devo cercare una risposta fumando i miei problemi fissando isistentemente l’insegna del Melo, spenta anch’essa?
non è meglio cercarla a casa, forse, analizzandosi meglio, cercandola dentro le fessure della propria Anima, in silenzio? devo davvero calarmi nel rumore assordante di questo pub?

e va bene, entriamo.
“altro giro, offre Andrey!”
sono fortunata, nonostante tutto,
pare berrò gratis.

E poi ti ricordi di un certo libro...

"Chi non ha mai passato interi pomeriggi con le orecchie in fiamme e i capelli ritti in testa chino su un libro, dimenticando tutto il resto del mondo intorno a sé, senza più accorgersi di aver fame o freddo; chi non ha mai letto sotto le coperte, al debole bagliore di una minuscola lampadina tascabile, perché altrimenti il papà o la mamma o qualche altra persona si sarebbero preoccupati di spegnere il lume per la buona ragione ch'era ora di dormire, dal momento che l'indomani mattina bisognava alzarsi presto; chi non ha mai versato, apertamente o in segreto, amare lacrime perché una storia meravigliosa era finita ed era venuto il momento di dire addio a tanti personaggi con i quali si erano vissute tante straordinarie avventure, a creature che si era imparato ad amare e ammirare, per le quali si era temuto e sperato e senza le quali d'improvviso la vita pareva così vuota e priva di interesse; chi non conosce tutto questo per sua personale esperienza, costui molto probabilmente non potrà comprendere ciò che fece allora Bastiano. Fissava il titolo del libro e si sentiva percorrere da vampate di caldo e di freddo. Questo, ecco, proprio questo era ciò che lui aveva sognato tanto spesso e che sempre aveva desiderato da quando era caduto in preda alla sua passione: una storia che non dovesse mai avere fine. Il libro di tutti i libri."




Michael Ende, La Storia Infinita